Parole di Salvatore Sini (prima meta' del '900)
NON POTHO REPOSARE. Articolo di Antonio Strinna, pubblicato nella Rivista Sonos e contos, che racconta la storia di questa canzone.
Scritta da Salvatore Sini e da Giuseppe Rachel, "Non potho reposare" è una delle canzoni più belle e più popolari della Sardegna.
NON POTHO REPOSARE
(Sini - Rachel)
Non potho reposare, amore e coro... Come potrebbe l'amore conoscere sonno o sosta? L'amore vive di consapevolezza, di giorno e di notte, quando davvero si è innamorati, consapevolezza l'uno dell'altra, che mette al centro del mondo, costantemente, l'amato e l'amata. E' un dono speciale che non si può sprecare neppure per un secondo, per colpa di uno sguardo distratto o un pensiero che non contempli l'altro, non importa se fisicamente lontani. Questo il pensiero dominante, e rivelatorio, del poeta in Non potho reposare.
Attenzione e cura, ribadisce l'autore dei versi, che ugualmente significano amore. Pensende a tie so, donzi momentu... Di qui in avanti, nello sviluppo avvolgente del brano, tutto sembra muoversi in una dimensione quasi sospesa fra l'onirico e il reale, la cui musica sostiene questa suggestiva dimensione attraverso una discreta e allegra mazurka, contemperando così uno spirito decisamente popolare, non senza una sottesa venatura di tristezza, con i sentimenti più profondi e più intensi dell'innamoramento. L'utilizzo poi della tonica all'ottava superiore fa risaltare la melodia, le conferisce leggerezza e ariosità, arricchita nel contempo da caratteristiche appoggiature sul quinto grado.
Ca t'amo, forte t'amo, t'amo e t'amo. L'amore è di per sé infinitezza, diversamente da qualunque altra realtà terrena, una infinitezza che ci apre al soprannaturale. Ed è in fondo questa continuità dell'amore, senza calcoli né condizioni, che ci rende capaci di godere di gioie eterne. Ecco dunque emergere la spazialità straordinaria di una poesia e di una canzone, la spazialità nella quale ci ritroviamo veri e insieme come surreali. Dove ogni desiderio, pensiero e sentimento non è che un susseguirsi dello stesso respiro: amore e ancora amore. La specularità dell'uomo e della donna, attraverso lo sguardo unico dell'amore, appare qui di riflesso in alcune frasi musicali anch'esse metricamente speculari.
Ogni gesto della vita prende forma, si orienta e si motiva con il solo spirito dell'amore, con la sua forza, la sua bellezza, la sua ambizione sempre alta e feconda. E questo ci dà già la certezza che la persona amata non cadrà mai nella tristezza, nello smarrimento o nel dolore, dice il poeta. Osservando la struttura melodica di Rachel, almeno nella prima strofa, notiamo che la frase musicale si risolve con una figurazione ritmica abbellita in forma terzinata, concludendo il tema musicale sul terzo grado dell'accordo di tonica. Si noti poi, di conseguenza, come la chiusura rimanga nell'ambiguità e come questa dia, nuovamente, un senso di infinitezza: da un lato esaurisce formalmente la strofa e dall'altro lascia un senso di indeterminatezza e di attesa.
La commistione poetico musicale del brano parte dunque da qui, dal superamento di convenzioni, di limiti tecnici; e per il poeta, in particolare, tutto prende le mosse, tutto diviene sogno e insieme vissuto a partire dall'amore, che in questo modo è già rimozione di timori, distanze e umana precarietà. Per cui tutto è possibile, anche creare e donare, a beneficio dell'amata, unu mundu bellissimu pro tene/ pro poder dispensare cada bene. Il brano procede così, uno scatto dopo l'altro, in un crescendo di visioni emotive e di rinnovata intensità, quasi volesse librarsi nell'aria, liberando gli innamorati dalle catene della lontananza o di una severa quotidianità. In virtù dell'amore, dice il poeta, riconoscente, potrei trasferire sulla terra il Paradiso, tutto per te. Sì, perchè la donna amata è il sole che m'illumina, che mi esalta il cuore e la mente. Di qui il lampo di luce e di calore che accompagna - con il viatico del canto- il viaggio esistenziale di un uomo e una donna, dove l'affidarsi l'uno all'altro li tiene comunque uniti, sino a farne un solo corpo, una sola anima e, in definitiva, un unico destino. Pensende chi m'istimas mi ristoro/ chi de sa vida nostra tela e tramas/ han sa matessi sorte prite m'amas.
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Chi è Salvatore Sini?
Salvatore Francesco Sini, nato a Sarule il 2 maggio 1873, è figlio di Agostino Sini Cheri e Mariangela Brandinu, una famiglia di pastori. Pastore anch'egli da ragazzo, prima di intraprendere gli studi a Nuoro, nelle scuole medie superiori, studi che poi prosegue all'Università di Cagliari, facoltà di giurisprudenza, conseguendo la laurea in legge col massimo dei voti nel 1904. Dopo la laurea, esercita la professione di avvocato prevalentemente a Nuoro. Del suo paese natale, Sarule, non si dimenticherà mai, anche lontano sentirà sempre una grande nostalgia e un forte legame affettivo e culturale.
Il suo percorso letterario inizia nel 1909 con un dramma dal titolo "Il Medico", pubblicato a Nuoro presso la tipografia "Tanchis". Nel 1911 pubblica una canzone dal titolo "La Guerra Tripolina", un libretto di otto pagine. In tutti i versi della canzone Sini esprime una sua profonda convinzione: la guerra non è affatto una conquista ma una terribile tragedia, sempre devastante nella storia dell'uomo; e questo lo afferma anche altrove, in versi come questi:
"Se il vigor dei forti/ fosse adoprato a coltivare il suolo/ la mente ad educare il cuor di tutti/ in terra regnerebbe il paradiso".
Con il trascorrere degli anni, il poeta manifesta anche le sue tendenze proletarie, ad esempio nella canzone "Lamentos de sas theracas de Nugoro", scritta nel 1915, a cui seguì nel 1919 la canzone "Comunismu". Sini è allora particolarmente impegnato in molte campagne sociali, fra le quali una per la fondazione di una lega fra le donne operaie nuoresi.
Ma la sua poesia raggiunge la cima più alta con "A diosa". Nel 1915 scrive infatti questa canzone, oggi meglio conosciuta col titolo di "Non potho reposare". Come una sorta di risposta a questa, ne scrive un'altra intitolata "A diosu". In seguito, compone anche "Muttos", tutte poesie musicate da Giuseppe Rachel, allora direttore della banda musicale di Nuoro. La poesia "A diosa" è quella che al poeta di Sarule ha dato sicuramente maggior prestigio e notorietà in tutta la Sardegna, nella penisola e anche all'estero.
Proseguendo il suo percorso letterario, c'è da registrare che nel 1924 compone il canto "A Zuseppe Mesina" e poi ancora tanti altri fra i quali ricordiamo: "Sa canthone de Zuseppe Nonne", "Su zeccu" e "Su cundennau innozente". Nel 1929 scrive "Augurios pro s'isposaliziu de su Principe Umberto".
Oltre alle esecuzioni del brano da parte del "Corpo musicale filarmonico", diretto dallo stesso Rachel, ricordiamo la registrazione su disco avvenuta nel 1936 di tre strofe di "A diosa" e tre strofe di "Muttos", tutte cantate dal tenore Maurizio Carta, di Mogoro. Nel 1951 compone dei versi per la morte del compare e amico avv. Ciriaco Offeddu e lo stesso fa per la morte di Attilio Deffenu. Infine, scrive anche i "Gosos de Santu Franziscu".
Salvatore Sini muore a Nuoro il 27 Agosto 1954, quando aveva 81 anni.
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Chi è Giuseppe Rachel?
Nato a Cagliari nel 1858, originario di Parma, è il quinto figlio di una famiglia di musicisti, un po' tutti legati alla musica: Francesco, Pietro, Raimondo, Antonio e Giuseppe. Luigi Rachel, autore delle musiche di "Tristu passirillanti" e di "Canzone de tracca", è invece nipote di Giuseppe, figlio di Antonio. Come musicista professionista troviamo Giuseppe Rachel, in un primo momento, nella città di Verona, direttore di una banda musicale. Fa rientro, dopo pochi anni, in Sardegna, andando a vivere a Tempio Pausania. Più tardi si trasferirà a Nuoro, questa volta definitivamente, dopo aver vinto un concorso come direttore della banda musicale di Nuoro, esaminato da una Commissione presieduta da Maestro Luigi Cànepa di Sassari.
A Nuoro insegna canto alle scuole magistrali e scrive composizioni per ottavino, il suo strumento prediletto. Compone, in particolare, le musiche di Non potho reposare e di Muttos, poesie scritte da Salvatore Sini, nel 1921. Giuseppe Rachel, come si può notare, intreccia le sue origini musicali colte con le atmosfere e le sonorità linguistiche sarde, elaborate in modo raffinato e intenso nei versi del poeta di Sarule, Salvatore Sini, il quale attinge al logudorese e insieme al nuorese. Non potho reposare viene musicata con il tempo di mazurka, una scelta di sicuro non casuale, visto che universalmente richiama le allegre feste paesane, lo spirito popolare, il ballo tradizionale in piazza.
Ben noto e apprezzato a Nuoro, negli anni '30, era il complesso diretto da Rachel, denominato "Corpo musicale filarmonico". Il complesso comprendeva anche una sezione canora di voci miste, affidato a Tomaso Madrigali, organista della Chiesa delle Grazie. Non potho reposare faceva sicuramente parte del suo repertorio, si aggiunga poi che anche il tenore Maurizio Carta la eseguiva e infine la registrò su disco, nel 1936, insieme all'altro brano scritto con Sini, cioè Muttos.
Giuseppe Rachel muore a Nuoro nel 1937, quando aveva poco meno di 8o anni.
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Il viaggio di "Non potho reposare".
Il brano, nato nell'estate del 1921, per una quindicina d'anni rimane nel silenzio, e tuttavia viene amorevolmente custodito e fatto proprio dal "Corpo musicale filarmonico" di Nuoro, diretto dallo stesso Rachel. Ci vorrà ancora molto altro tempo per scoprire il suo vero, grande destino. Finalmente arriva l'incisione delle tre strofe di Non Potho reposare (insieme alle strofe di Muttos) da parte del tenore di Mogoro Maurizio Carta, avvenuta nel 1936.
Finalmente, soprattutto, arriva quella del Coro Barbagia di Nuoro, diretto da Banneddu Ruiu, il quale incide nel 1966 un long playng intitolato "Sardegna, canta e prega", presso la RCA Italiana, dove il primo brano proposto è proprio Non potho reposare, armonizzato dallo stesso Banneddu Ruiu. Nello stesso anno, il Coro di Nuoro, diretto da Gian Paolo Mele registra a Milano il long playng "La Sardegna nel canto e nella danza", dove ugualmente troviamo Non potho reposare, armonizzato dal direttore del coro.
Davvero notevole è il successo che riscuotono questi due cori e strepitoso è il successo del brano composto da Sini e Rachel. Tutti i cori nuoresi lo adotteranno con passare degli anni, come il Coro Ortobene, Su Nugoresu, Sos Canarios, il Grazia Deledda e altri ancora, poi via via la maggior parte dei cori isolani.
E' ragionevole pensare che proprio nel 1966, grazie ai due long playng registrati -ormai pietre miliari del canto corale sardo-, il brano Non potho reposare sia uscito perentoriamente dalla semiclandestinità e soprattutto dall'ambito ristretto di Nuoro. E' da questo momento, infatti, che il brano si diffonde e conquista i cuori di tutti i sardi e non soltanto. Ci penseranno, poi, altri nuovi interpreti, gruppi e solisti, più o meno importanti, mentre via via si affacciano sulla scena musicale, a contribuire alla sua completa affermazione. Come le corali Cànepa e Vivaldi di Sassari, Maria Carta, Elena Ledda, I Tazenda, I Bertas, Andrea Parodi, I Cordas e Cannas e molti altri gruppi.
Dopo un viaggio durato più di ottant'anni, possiamo infine affermare che Non potho reposare è approdata e profondamente ancorata nel porto a cui desiderava tanto arrivare, quello del nostro cuore. Oggi amiamo davvero questa canzone, la consideriamo giustamente un piccolo quanto prezioso capolavoro, di per sè un patrimonio poetico e musicale. Un patrimonio nel quale la maggior forza risiede nella sua sfera naturalmente spirituale: è infatti una forza tutt'altro che muscolare, la sua, e il suo canto si rivela e ci coinvolge con una straordinaria fascinazione. E' infatti un canto che, affrancato dai confini e dalle mode, ci fa riscoprire interiormente, pervasi dello suo stesso amore. In ogni tempo.
_________________________________________NON POTHO REPOSARE
Questa poesia, scritta nel 1915 da Salvatore (Badore) Sini - avvocato, uomo politico e poeta nato a Sarule Meno conosciuta è la seconda parte, "A Diosu", risposta dell'amata allo spasimante lontano, altrettanto bella e struggente.
A DIOSA
Non potho reposare amore, coro,
pessande a tie soe donzi momentu;
no istes in tristura, prenda e'oro,
nè in dispiaghere o pessamentu.
T'assicuro ch'a tie solu bramo,
ca t'amo forte, t'amo, t'amo, t'amo.
Amore meu, prenda d'istimare,
s'affettu meu a tie solu est dau.
S'are giuttu sas alas a bolare
milli vortas a s'ora ippo volau,
pro venner nessi pro ti saludare,
s'atera cosa nono a t'abbisare.
Si m'esseret possibile d'anghèlu,
d'ispiritu invisibile piccavo
sas formas e furavo dae chelu
su sole, sos isteddos e formavo
unu mundu bellissimu pro tene
pro poder dispensare cada bene.
Amore meu, rosa profumada,
amore meu, gravellu olezzante,
amore, coro, immagine adorada.
Amore, coro, so ispasimante,
amore, ses su sole relughente,
ch'ispuntat su manzanu in oriente.
Ses su sole ch'illuminat a mie,
chi m'esaltat su coro e i sa mente;
lizzu vroridu, candidu che nie,
semper in coro meu ses presente.
Amore meu, amore meu, amore,
vive senz'amargura, nè dolore.
Si sa lughe d'isteddos e de sole,
si su bene chi v’est in s'universu
are pothiu piccare in d'una mole,
comente palumbaru m'ippo immersu
in fundu de su mare a regalare
a tie vida, sole, terra e mare.
Unu ritrattu s'essere pintore,
un'istatua 'e marmu ti vachia
s’essere istadu eccellente iscultore,
ma cun dolore naro: "Non d'ischia".
Ma non balen a nudda marmu e tela
in cunfrontu 'e s'amore d'oro vela.
Ti cherio abbrazzare egh’e basare
pro ti versare s'anima in su coro;
ma da lontanu ti deppo adorare.
Pessande chi m'istimas mi ristoro,
chi de sa vida nostra tela e tramas
han sa matessi sorte prite m'amas.
Sa bellesa 'e tramontos, de manzanu
s'alba, aurora, su sole lughente,
sos profumos, sos cantos de veranu,
sos zeffiros, sa brezza relughente
de su mare, s'azzurru de su chelu,
sas menzus cosas dò a tie, anghèlu.
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Non trovo riposo, amore, cuor mio:
il mio pensiero volge a te ogni momento.
Non esser triste, gioia d'oro,
non dispiacerti e non stare in pensiero.
Ti giuro che desidero solo te
perché ti amo, ti amo, ti amo.
Amore mio, tesoro inestimabile,
a te sola è riservato il mio affetto.
Se avessi avuto le ali per volare,
sarei volato da te mille volte:
sarei venuto per salutarti almeno
o anche solo per vederti appena.
Se potessi prenderei
la forma di un angelo,
d'uno spirito invisibile,
ruberei dal cielo sole
e stelle per formare
un mondo bellissimo per te
per poterti dare ogni bene.
Amor mio, rosa profumata;
amor mio, garofano odoroso;
amore, cuore, immagine adorata;
amore, cuore, io spasimo per te,
amore, sei il sole lucente
che spunta la mattina in oriente.
Sei il sole che m'illumina
e m'esalta cuore e mente;
giglio in fiore, candido come la neve,
sei sempre presente nel mio cuore.
Amor mio, amor mio, amore:
vivi senz'amarezza né dolore.
Se la luce delle stelle e del sole
e tutto il bene che c'è nell'universo,
avessi potuto prender tutto in una volta
mi sarei immerso come un palombaro
in fondo all'oceano per regalare a te
vita, sole, terra e mare.
Se fossi pittore ti farei un ritratto,
una statua di marmo
se fossi un eccellente scultore.
Invece dico con dolore: "Non lo so fare".
Ma il marmo e la tela nulla valgono
in confronto alla vela d'oro dell’amore.
Vorrei abbracciarti e baciarti
per versare la mia anima nel tuo cuore.
Ma debbo adorarti da lontano.
Il pensiero del tuo amore mi conforta,
tela e trama della nostra vita
hanno la stessa sorte perché m'ami.
La bellezza dei tramonti, l'alba del mattino,
l’aurora, il sole splendente,
i profumi, i canti della primavera,
gli zefiri, la brezza rilucente
dal mare, l'azzurro del cielo
le cose più belle dono a te, angelo.
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A DIOSU
Si tue non bi podes riposare,
non riposat Diosa, amore, coro.
Frequente mi ponzo a lacrimare
pessande ch'est luntanu su ch'adoro.
Ite m'importat chi brames a mie
si non ti tenzo a curzu rie rie?
Inutil'est s'affettu e i s'amore
da chi mill'annos ti restas lontanu.
S'ares provadu su meu dolore
non t'avio bramadu gosi invanu.
Non podende volare, veni in trenu,
a pede, o curre a caddu senza frenu.
Gravellu meu, Diosu istimadu,
s'anghelu veru, sole, isteddos, luna
ses tue, coro, s'universu amadu;
atera non disizo cos'alcuna.
Su veru, unicu bene ses Diosu,
chi mi vaches provare cada gosu.
Su veru bene, coro, tenzo in sinu
e s’ anima s’esaltad e sa mente
pessande a s’isplendore 'e su divinu
amore, veru sole d'oriente.
Si tue, coro, ses ispasimante,
Diosa, crede, ch'est agonizzante.
Non potho biver, no, senz'amargura,
luntanu dae tene, amadu coro.
A nudda vale sa bella natura
si nòst a curzu su caru tesoro,
pro mi dare cossolu, are recreu
coro, Diosu, amadu prus de Deu.
Tue ses astru, sole, s'universu,
chi m'has donadu a mie cada bene,
cando s'ispada in coro m'has immersu
tinta de samben d'amore de tene.
Pius de s'universu vales tue:
veni, Diosu non restes in cue.
D'unu pintore unu ritrattu bellu,
d'un'istatua 'e marmu verdadera,
de sos profumos de rosa o gravellu,
nudda m'importat de sa primavera,
bastet s'amore cunserves a mie,
coro, candidu lizu prus de nie.
A mie pros s’etemu ses unidu.
Ti cherio cuvare intr'e campàna
n modu chi nessunu t'aret bidu.
Veni mi vasa, su coro mi sana,
veni, t'aspetto, a die, notte, onzora;
veni, Diosu, veni, mi ristora.
Non mi importat tramontos, luch’e die,
nè terra, o mare, nè astros de chelu,
da chi tue su coro has dadu a mie,
ch'has divinu isplendore prus d'anghèlu.
Como, Diosu, cun s'idrovolante
vola, m'abbraza e mi vasa a s’istante.
Salvatore Francesco Sini (1873-1954)
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